Alberto Calandriello – Abbassa quello stereo

ABBASSA

Alberto Calandriello è un mio amico. Oddio, forse amico è una definizione eccessiva, però è una persona che frequento e conosco. Avevo già letto i suoi due libri precedenti che erano davvero spassosissimi (potete trovare le recensioni qui e qui), ma avevo qualche titubanza a leggere questo perché parla di musica e, diciamo, che i miei gusti e quelli di Alberto proprio non coincidono. Ma ho deciso, in nome della stima che ho per lui, di leggerlo perché non è comunque da tutti saper scrivere un libro e l’impegno (soprattutto quello degli amici) va sempre premiato.

Anche in questo libro ho trovato momenti molto esilaranti, com’è nello stile “Cala” e sono, a mio parere, quelli che riescono a salvare il raccconto insieme ai momenti di vita vissuta. In effetti lui ha una capacità straordinaria di scrittura che gli esce, si vede, spontaneamente. Tuttavia quest’opera l’ho trovata meno interessante delle precedenti per i seguenti motivi:

  1. Non ho trovato una linearità di narrazione. Si parlava di Springsteen, poi di De André, poi dei Pearl Jam e poi di nuovo di Bruce Springsteen. Avrei preferito che i capitoli fossero stati ordinati per argomento. E, all’interno dell’argomento, in ordine cronologico. Così com’è, l’ho trovato confusionario.
  2. C’erano capitolo in cui si parlava di una band di cui non ho mai sentito parlare e allora li ho saltati a piè pari. Non che su Bruce o Pearl Jam fossi molto più informata ma, almeno questi, è impossibile non averli mai sentiti nominare.
  3. Alberto, sfortunatamente, ha la tendenza ad essere convinto che solo quella che ascolta lui è musica che può trasmettere qualcosa e che merita di essere ascoltata. Per cui tutto ciò che è commerciale è considerato da lui tanto quanto cacca di mucca. E mi sono stranita tantissimo quando, in un capitolo dal titolo “dal premio Nobel agli emuli di Fedez”, riesce addirittura a ricredersi e dire che le canzoni della track list della compilation Festivalbar ’97 (che io custodisco insieme a tutte le altre annate) sembrano scritte dal Dio del Rock se paragonate a ciò che produce la musica pop moderna. WOW! Da segnare sul calendario!

Purtroppo su questo argomento i nostri punti di vista credo siano inconciliabili. Io ritrovo pezzi della mia vita in frasi di canzoni commerciali, tanto da essermene addirittura tatuata una addosso, ma non per questo penso che la mia vita sia meno vissuta di uno che racconta la sua vita attraverso canzoni solo rock.

Po, in sé, il libro è scritto come al solito molto bene, è incalzante, fa ridere in certi punti, ma soprattutto mi ha offerto tanti spunti di riflessione su fatti storici, inerenti il mondo della musica e non. Ho trovato davvero molto interessante la descrizione pezzo per pezzo dell’album The Rising di Bruce Springsteen, uscito nel 2002 dopo la tragedia delle torri gemelle nel settembre 2001. Sono andata a vedere cos’era successo a Roskilde. Sono andata a vedere l’ultima esibizione di Elvis che viene menzionata nel libro. Quindi, se siete appassionati di quel genere di musica è sicuramente il libro che fa per voi. Se non lo siete… pensateci due volte prima di inizare la lettura, oppure leggetelo sapendo che per lui non esiste altra musica così significativa.

VOTAZIONE: 2,75/5

CITAZIONE:

già capivo quanto nero potesse diventare il mondo per un cuore spezzato.

Gavino Zucca – Il mistero di Abbacuada

ABBACUADA

Oggi abbandono la mia amata regione per portarvi in un’altra bellissima regione: la Sardegna, a Sassari precisamente. Il mistero di Abbacuada è ambientato negli anni ’60, quando la Costa Smeralda era solo che un’idea nella testa di architetti e investitori che ci vedeva moooolto lungo.

I personaggi principali sono Giorgio Roversi, tenente dei Carabinieri appena trasferito da Bologna per motivi disciplinari e Luigi Gualandi che, oltre ad essere un ex ufficiale veterinario dell’Arma, è anche il proprietario dei terreni dove è stato rinvenuto il cadavere di Carlo Ferrero. Ferrero era uno dei vicini di Gualandi. Conosciuto per il suo carattere non propriamente amabile, era stato trovato dentro la Grotta di Abbacuada con un orecchio mozzato.
Il tenente Roversi, essendo nuovo della zona, si lascia aiutare da Gualandi che, nonostante la pensione, è ben felice di partecipare. I sospetti cadono subito su un altro vicino di terreno, Bellu, con cui Ferrero aveva avuto delle parole. Tanto più che proprio questo Bellu risulta scappato con tutta la sua famiglia. Ma quando viene ritrovato il Bellu conferma di essere scappato non per aver ammazzato qualcuno, ma per allontanarsi da persone che volevano fare del male a lui e alla sua famiglia. Bellu era, infatti, invischiato in un’antica faida che lo aveva fatto trasferire dal nord al sud della regione. Proseguendo nelle indagini il tenente scopre che Ferrero aveva contattato il suo notaio per cambiare le sue disposizioni testamentarie. Voleva infatti revocare il lascito di un terreno che, in origine, sarebbe andato in eredità al figlio. Roversi viene a sapere che alla base di questo improvviso cambiamento ci sarebbe stata la visita di un agente immobiliare che dal Continente (cioè Roma) era arrivato per trattare con Ferrero l’acquisizione del terreno in una posizione che tutti consideravano poco fruibile e di poco valore. Ferrero, da vecchio volpone qual era, aveva capito che, se si era scomodato un agente da Roma per venire a fare un’offerta, c’era sotto qualcosa di grosso.
Controllando gli arrivi a Sassari con il traghetto, Gualandi e Roversi notano una macchina parcheggiata in modo strano quasi a ridosso della banchina. Ecco, questa macchina si rivelerà il punto di svolta per l’indagine.

Come al solito ho trovato molto carina l’ambientazione di questo libro. Anni ’60, una Sardegna ancora parecchio selvaggia. Il ritrovo al bar del centro del paese per l’aperitivo e per fare due chiacchiere. Valle delle Magnolie, dove è stato perpetrato l’omicidio, pare una valle incantata, ancora totalmente dedita alla coltivazione delle terre e all’allevamento degli animali da cortile che diventano poi parte integrante della famiglia. Anche la trama era carina, tuttavia ho scoperto il colpevole troppo presto e, comunque, secondo me mancava quel “quid” per rendere la storia frizzante. Il classico libro per passare qualche ora leggendo senza troppa concentrazione.
Da rivedere.

VOTAZIONE: 2,75/5

CITAZIONI:

Roversi ne aveva visti tanti così, nel momento cruciale in cui d’un tratto comprendono che la loro vita è forse giunta in modo del tutto inatteso a un bivio. Quel momento in cui si rendono conto di non aver valutato la possibile portata delle proprie azioni e si domandano con frenetico terrore quali potranno essere le conseguenze. Roversi stava male a vedere un’altra persona in quello stato. Perché solo i poveracci, pensava, soffrono così per le conseguenze di ciò che hanno fatto. I veri malvagi, quelli con il pelo sullo stomaco, se la ridono oppure reagiscono con violenza, sbraitano, inveiscono e rifiutano in ogni modo di accettare la resa dei conti.

Michele Serra – Gli sdraiati

sdraiati

La trama di questo libro che conta poco più di 100 pagine mi aveva subito intrigato quando era uscito nel lontano 2013 ma non avevo ancora avuto l’occasione di leggerlo.
Questa mattina dovevo passare in biblioteca prima di iniziare a lavorare e, quando sono entrata, non so come, non so perché, sono stata colpita da un flash. Ho chiesto a Carlo, il bibliotecario, se il libro era disponibile e, in effetti, lo era. Così, nonostante in realtà sia già impegnata nella lettura di un altro libro, ho iniziato a leggere Gli sdraiati.

La prima impressione è stata che la trama del risvolto di copertina fosse stata scritta da un genio del marketing.

Serra ci racconta il difficile rapporto tra un padre cinquantenne e un figlio diciottenne. Un rapporto che praticamente non esiste. Il padre che vorrebbe coinvolgere il figlio a guardare e scoprire la bellezza del mondo, il figlio perennemente connesso con gli amici, ma totalmente sconnesso dalla realtà in cui vive. Un figlio che non parla e interagisce con il padre molto poco, ma che ha le capacità sorprendenti di studiare, ascoltare musica e chattare con gli amici contemporaneamente. Il padre ha il desiderio fortissimo di riuscire a portare il figlio a fare un’escursione al Colle della Nasca, dove, quando era un ragazzino, era stato portato a sua volta dal proprio papà. La descrizione di questo rapporto si alterna, però, a momenti di grande, enorme divagazione: in modo particolare l’autore ci racconta alcuni capitoli che ha in mente di scrivere di un lungo saggio su una ipotetica guerra che accadrà in futuro tra l’esercito dei Giovani e l’esercito dei Vecchi. La parte conclusiva del romanzo è indubbiamente la più bella perché il padre riesce finalmente a portare il figlio a fare questa lunghissima escursione, rimanendo però fino all’ultimo momento prima della partenza pieno di dubbi sulla buona riuscita della giornata. E l’ultima pagina in modo particolare lascia aperta la speranza che, nonostante il muro che spesso sembra essere eretto nei rapporti famigliare, qualcosa di (molto buono) esca fuori. In modo inaspettato, ma che riempia ancora più di felicità.

Diciamo che le aspettative per questo libro erano sicuramente molto più alte. L’ho trovato anche in certi tratti difficile da leggere proprio per il lessico utilizzato.

Ho scoperto che da questo libro è stato tratto un film con il mitico Claudio Bisio la cui trama, però, è stata parzialmente riadattata e sono curiosa di sapere se sono state inserite anche le scne dell’improbabile guerra tra Vecchi e Giovani.

VOTAZIONE: 2,5/5

CITAZIONE:

Volta questa pagina per sempre, cammina lungo le spiagge, chiacchiera e ridi con i tuoi amici mangiando la bouillabaisse e quando il vino bianco ti avrà stufta, passa tranquillamente a un rosso leggero. E se ti capiterà di poterlo fare, metti al mondo un bambino, meglio un paio, è una tremenda rottura di scatole ma è anche il nostro dovere di riconoscenza alla vita, che è la nostra unica padrona.

Genova

genova

E’ la prima volta che utilizzo queste pagine per qualcosa di diverso da una recensione.  E’ da ieri che sono sconvolta e angosciata. So che il paragone è azzardato, ma mi sento come l’11 settembre 2001. Non riesco a smettere di cercare notizie, aggiornamenti, foto, video di ciò che è accaduto ieri a Genova. Il Ponte Morandi crollato, pare, per un cedimento strutturale. Il Ponte che è simbolo del collegamento tra il Pontente e il Levante. Ieri mattina ho seguito tutti gli aggiornamenti che forniva Primo Canale, una delle principali reti televisive regionali. La caduta del Ponte Morandi, dove tutti noi liguri siamo passati infinite volte nel corso della nostra vita, è l’ennesima caduta del mio amatissimo capoluogo che dopo cantieri perenni, G8, alluvioni su alluvioni, viene messo ancora una volta in ginocchio. Non penso di essere catastrofica nel dire che forse, ciò che è successo ieri, è la cosa peggiore tra tutti gli eventi accaduti finora, perché oltre ai morti (al momento in cui sto scrivendo risultano essere 39) e i dispersi, i danni che ci saranno prima che si trovi una soluzione, saranno incalcolabili. Si tratta, infatti, di un nodo autostradale di grandissima importanza e con un passaggio di vetture e tir incredibile.

Avendo imparato a cercare sempre almeno un lato “positivo”, uno dei primi pensieri che mi sono sovvenuti alla mente è stato che se l’incidente si fosse verificato in un altro momento, le persone coinvolte avrebbero potuto essere molte, molte di più. Quante volte sono stata ferma in coda su quel ponte? E se invece di quel pilone, fosse caduto l’altro che ha sotto dei palazzi abitati, non sarebbe stata una strage?

Questo evento mi ha sconvolto, lasciato senza parole, fatto pensare ancora una volta in più, se era necessario, a quanto la nostra vita dipenda dal Destino. Sto pensando ad una delle immagii-simbolo di ieri: il camion della Basko, fermo a pochi metri dal punto di rottura. Come lo chiamate? Provvidenza, Dio, Allah, botta di fortuna, Destino. Io dico semplicemente che non era il suo momento.

Il Ponte Morandi ha per noi liguri di Ponente un significato affettivo particolare perché spesso si va a Genova per lavoro o per l’università, è il passaggio obbligato per andare nella Grande Città, la Città dell’Acquario, dei vicoli, di Via Venti, di De Ferrari, dell’ascensore di Castelletto, della Foce, di Sottoripa. E nel senso inverso ha il significato di “ritorno a casa”.

Io, in particolare, amo Genova in un modo totalitario. Da quando ho abitato lì per l’università, mi è rimasta dentro al cuore e non lo ha più abbandonato. Vederla prima coperta di fango (più volte) e ora così, spezzata in due, mi fa male.

Non ho scritto questo post per dare colpe o per polemizzare, volevo solamente condividere con Voi questo senso di angoscia che ho da ieri alle 12.03 quando ho appreso su Facebook la terribile notizia e che non mi abbandona.

Sarà dura, molto dura, ma sono sicura che ancora una volta i genovesi, e tutti noi liguri insieme a loro, tireranno fuori la loro scorza dura e si rialzeranno. Non so come, nè soprattutto quando, ma ci riusciranno. Genova ❤

 

 

 

 

 

 

 

Joël Dicker – La scomparsa di Stephanie Mailer

dicker

Cari amici lettori, con questa afa terribile (l’altro giorno il termometro del mio terrazzo, che è perennemente al sole, segnava 51°), un romanzo fresco ci voleva proprio!

Joël Dicker è un genio. Punto.

Avevo già amato alla follia “La verità sul caso Harry Quebert” di cui aspettavo anche il film perché per me era impossibile che non ci fosse la trasposizione cinematografica SUBITO! Ho saputo che, invece, ne faranno una serie… meglio, peggio, voi che ne dite?

Ma venendo a La scomparsa di Stephanie Mailer che dire se non… WOW!!! Mi ha tenuta inchiodata alle 704 per cinque giorni (lavoro & bambino permettendo). Ricostruire la trama di questo intricatissimo libro non è per niente semplice.
Stephanie Mailer è una giornalista che è appena stata licenziata dal New York Literary Magazine, ma ha trovato subito un altro impiego presso l’Orphea Chronicle. Parallelamente alle notiziole di cronaca, si interessa ad un caso che vent’anni prima, nel 1994, aveva sconvolto la piccola e quieta cittadina di Orphea, negli Hamptons: il quadruplice omicidio, in cui erano stati assassinati il Sindaco Gordon, sua moglie e il figlio e Meghan Padalin, una ragazza che stava facendo jogging nei pressi della casa del sindaco. Orphea, che si apprestava ad inaugurare la prima edizione del festival teatrale ideato dal vice sindaco Brown, aveva ricevuto un boom di attenzioni mediatiche pazzesco. Il caso era stato assegnato a Jesse Rosenberg e Derek Scott, due giovani ma promettenti poliziotti. Nonostante gli indizi scarseggiassero, Jesse e Derek lavoravano h24 e, scavando sempre più a fondo, avevano trovato il colpevole: Ted Tennenbaum. Purtroppo, però, Ted non era mai finito in prigione perché era morto durante l’inseguimento ad opera di Jesse e Derek, che avrebbe portato al suo arresto. I due poliziotti erano balzati agli onori della cronaca per la risoluzione del caso ma, dopo quel terribile inseguimento terminato tragicamente, Derek aeva chiesto il trasferimento negli uffici amministrativi e il rapporto tra i due si era raffreddato.

Venti anni dopo, dicevamo, alla festa per il pensionamento di Jesse, Stephanie Mailer si avvicina al poliziotto annunciando che, durante le indagini del famoso caso del quadruplice omicidio, aveva incolpato la persona sbagliata. Jesse, che in un primo momento aveva pensato ad uno scherzo, si deve ricredere quando scopre che Stephanie è scomparsa. E si convince a riaprire il caso quando, dopo un po’ di giorni, viene ritrovato il cadavere della giovane giornalista. Jesse, insieme ad Anna Kanner, vicecomandante della polizia di Orphea, inizia ad indagare andando a riprendere le storie, gli inizi e tutto ciò che riguardava i fatti accaduti il 30 luglio 1994. Dopo un iniziale momento di titubanza, anche Derek Scott chiede di poter tornare operativo e seguire il caso insieme al suo compagno e ad Anna.
Il sospetto che Stephanie avesse davvero scoperto qualcosa si rafforza nel momento in cui prima viene messo a soqquadro il suo appartamento, poi viene addirittura bruciato e, come se non bastasse, il suo pc viene rubato dalla redazione del giornale dove lavorava. Anna, Jesse e Derek danno la prima svolta all’indagine quando riescono a risalire, attraverso i movimenti della carta di credito, all’affitto di un deposito dove trovano tutta la documentazione raccolta dalla giornalista prima di scomparire. Da questo momento inizia una girandola di eventi che lascia perennemente il lettore con il fiato sospeso, in un mix tra scene ambientate nel 2004 e falshback di vent’anni prima. La tecnica del flashback è, si vede, cara a Dicker perché l’aveva utilizzata anche nell’altro libro, anche se in un modo leggermente diverso rispetto a questa volta. Viene ritrovato anche Kirk Harvey, l’allora comandante della polizia di Orphea, che era inspiegabilmente sparito dopo qualche mese dalla tragedia. Harvey, che si era trasferito a Los Angeles per sfondare come regista nel teatro, era stato scoperto dalla giornalista che era volata dall’altra parte del paese per parlargli di persona. Harvey dice di avere in mano la vera soluzione del caso e promette di riverlarla attraverso il suo spettacolo teatrale “La notte buia” se le autorità gli concederanno di metterlo in atto durante l’Orphea Festival.

Ma nella storia entrano molti altri personaggi per complicare, ancora una volta in più, le cose.

Quello che ne esce fuori è un giallo davvero pazzesco, dove, ad un certo momento, l’ipotesi che sembra quella corretta, è davvero assurda e impensabile. In pratica irrisolvibile per noi lettori, almeno fino a che non si arriva al punto della spiegazione.

Ci sarebbero davvero tantissime altre cose da raccontare, ma, giuro, non saprei come fare. Per cui vi consiglio: leggetelo, leggetelo, leggetelo. Vedrete che non ve ne pentirete assolutamente. Dicker è davvero un maestro nel tenere viva la suspance e anche nel creare degli intrighi pazzeschi.
Ora sono solamente indecisa se leggere il libro dei Baltimore perché so che non è un giallo, ma dato che probabilmente dovrò aspettare qualche anno per un altro libro di Dicker, prima o poi, leggerò anche quello.

Buone letture cari amici!

VOTAZIONE: 5/5

Marco Fezzardi – La pietra dei Fieschi

pietra fieschi

Cari amici lettori come va? Vi state sciogliendo anche voi? La vostra Pensierosa, in questi ultimi giorni, passa il tempo tra l’ufficio e la doccia.. aiuto!!!

Oggi vi parlo di un altro giallo Frilli che avevo in lista da taaaantissimo tempo. Ho deciso di ordinarlo dalla mia libreria di fiducia , dato che, non so perché, non riuscivo mai a trovarlo.

Un bel romanzo, con flashback storici che mi hanno dato spunti molto interessanti. Si parte da alcuni fatti realmente accaduti, opportunamente distorti, per raccontare una bella storia che spazia tra Genova e il suo immediato entroterra, Milano, la Germania e il Sud America.

Hermann Schattner, un signore tedesco di 80 anni molto ricco, che ha fatto la fortuna negli anni del dopoguerra con la sua azienda edile, contatta un architetto famoso a Milano, Monzani, a cui vuole sottoporre un progetto ambizioso: recuperare un paesino abbandonato nell’entroterra genovese per creare un polo di eccellenza tecnologica. I soldi non gli mancano e, in ogni caso, il piano prevede l’utilizzo dei Fondi Europei per i progetti High Tech village dei quali si sarebbe occupato il Dottor Albertini. Albertini e Monzani demandano al geometra genovese Caligaris per un sopralluogo a campofreddo. Il geometra stende una relazione molto dettagliata sullo stato delle cose in quel paese ormai dimenticato da tutti e si decide così a procedere. La prima parte pratica prevede l’acquisizione di tutti gli appezzamenti terrieri che compongono l’ex villaggio. Ed è proprio a questo punto che parte, per modo di dire, la nostra storia. Infatti Caligaris riesce a trovare tutti i proprietari terrieri tranne uno, un certo Carlo Savio di cui nessuno ha più notizie.

Quella che viene fuori è una storia affascinante, anche se per certi versi, forzata. Il tedesco, infatti, all’epoca della seconda guerra mondiale, si trovava a combattere i partigiani proprio sulle alture genovesi, dove un giorno per caso si era imbattuto in Teresa, una ragazza che faceva la staffetta partigiana. Dopo averne abusato, aveva catturato Teresa, mandandola al campo di concentramento dal quale non era più tornata. Carlo Savio, innamorato di Teresa e accecato dalla rabbia, si mette sulle tracce del tedesco e vola in Sud America dove però rimane per 20 anni, aprendo un hotel. Ed è proprio in Sud America che lo trovano Caligaris e il suo amico Sanguineti che, con la moglie, hanno attraversato l’Atlantico per cercarlo e parlargli. Carlo accetta di vendere, ma ad una condizione: vedere in faccia questo tedesco. Così Caligaris, l’architetto Monzani, il Dottor Albertini, Hermann Schattner & figlio e Carlo Savio si ritrovano tutti insieme nello studio del notaio genovese scelto per firmare l’atto. E qua c’è un epilogo straordinario della storia.

Non ho ancora raccontato tutto, perché in effetti è intrigante anche scoprire il perché il signor Schattner sia così interessato proprio a quel pezzo di terra, dove una volta sorgeva il maestoso castello della Famiglia Fieschi, prima di essere ridotto in macerie dai Doria, loro rivali.

Il libro si legge in poche ore ed è molto gradevole. Spero di riuscire, prima o poi, ad andare a visitare queste rovine del castello che si trovano a Montoggio.

VOTAZIONE: 3,5/5

CITAZIONI:

ma al geometra genovese andava benissimo così e da tempo, ormai, anziché cercare di cambiare il mondo, tentava di convivere serenamente con le sue ingiustizie e contraddizioni e di scansarne gli effetti più dolorosi.
Aveva acquisito la consapevolezza della necessità di indossare le mutande giuste per le diverse situazioni anche se, spesso, continuava a sbagliare modello.

 

Alessandro Sanguineti era ormai giunto alla conclusione che il Padreterno gli avesse procurato l’amicizia con Ettore Caligaris per assicurargli quella dose, minima ma garantita, di preoccupazioni che spetta ad ogni uomo e che, di solito, viene garantita dall’avere figli.